Quando si inizia la pratica dello Yoga generalmente se ne ha un’idea molto approssimativa. Le motivazioni che spingono verso tale disciplina sono soprattutto di ordine pratico: conservare la forma fisica, eliminare stati di ansia, far fronte allo stress o migliorare la condizione di alcune patologie.

Tutti questi obbiettivi – ampiamente raggiungibili – presuppongono un’azione su tutto il nostro sistema psicofisico che poggia però su una base teorica, una vera e propria filosofia, che costituisce il fondamento dello Yoga.
Questa filosofia – ignorata spesso anche da molti praticanti – rappresenta una sintesi molto esauriente del vasto e complesso panorama  dell’antica mistica orientale e racchiude in sé idee e contenuti molto profondi.
Non solo. Le recenti acquisizioni della Fisica moderna le si avvicinano sorprendentemente conferendole un carattere di estrema modernità.

Tale affinità poggia sul significato stesso della parola “Yoga” : Unione

Vediamo perché.
Secondo le antiche dottrine orientali la realtà che viviamo quotidianamente, e più in generale  tutto l’universo,  così vario  ed eterogeneo, è frutto di un processo di separazione lento e progressivo che prese le mosse  da una contesto originario di  perfetta unità ed equilibrio.
Tutto oggi ci appare vestito di situazioni antitetiche; pensiamo al giorno e alla notte, al caldo e al freddo, all’alto e al basso, al finito e all’infinito…..

L’essenza di queste dicotomie dalle quali il mondo sembra caratterizzato venne sintetizzata con i termini Yin e Yang, i due principi che regolano la vita. Il primo è il principio femminile, passivo e dispersivo, il secondo è invece il principio maschile ed è attivo e accentratore.
Ogni cosa, dice la filosofia orientale, per essere, ha bisogno del suo opposto; non ha senso parlare del giorno senza sapere cosa sia la notte, né di male se non abbiamo un’idea del bene, come non ha senso definire un alto senza un basso o una destra senza una sinistra.
Alla nostra mente, anch’essa prodotto dell’andamento degenerativo dell’universo, tutto appare perfettamente naturale. Di conseguenza tendiamo sempre più con i nostri giudizi e i nostri ragionamenti a separare e classificare.
Una osservazione più approfondita – ecco il punto fondamentale – ci svela però che queste classificazioni sono del tutto arbitrarie.

Alcuni esempi per meglio rendere l’idea.

Per quanto riguarda le stime spaziali (alto, basso, destra, sinistra) è chiaro che esse dipendono dalla posizione dell’osservatore. Ad un cambio di questa, un alto può diventare un basso, una destra può trasformarsi in sinistra e viceversa. Non sono altro che aggettivi che qualificano (sono quindi qualità) l’ubicazione di un oggetto nello spazio.
Se prendiamo in esame il giorno e la notte entriamo nel campo dei fenomeni ed il discorso diventa meno evidente. All’inizio del terzo millennio tutti sanno che anche queste due situazioni ambientali così diverse sono  solo due aspetti opposti di un processo più generale: il movimento di rotazione della Terra su se stessa. Potendo godere di un punto di osservazione situato nello spazio, tutto sarebbe evidente ma per quanto tempo l’uomo avrà ipotizzato soluzioni che niente avevano a che vedere con la verità? Per quante migliaia di anni giorno e notte saranno sembrati due eventi soprannaturali, completamente indipendenti tra loro e circondati da un alone di magia?
Oggi dunque possiamo dire che giorno e notte sono come le facce di una stessa medaglia; il giorno dinamico e solare è tipicamente yang, la notte statica ed oscura raffigura l’aspetto yin. Per giungere a questa affermazione è bastato un cambio del punto di osservazione, da cui le cose appaiono con una veste diversa.

Così è per le altre innumerevoli separazioni e apparenti contraddizioni della nostra esistenza: sarà un cambio di prospettiva a determinare un’evoluzione della coscienza che è poi il fine supremo dello Yoga. Dobbiamo imparare a scorgere l’aspetto unificante sotteso ad ogni opposizione e attuare un cammino a ritroso verso la situazione di iniziale equilibrio, l’Unione suprema.
Ora questa impostazione unitaria peculiare dell’antico Oriente viene ai nostri giorni oltremodo avvalorata da alcune importanti conclusioni cui è giunta la scienza occidentale.
Solo poco più di cento anni fa la conoscenza scientifica poggiava su alcuni concetti assoluti (cioè validi per tutti e nella stessa misura) completamente distinti e separati.
Lo spazio, il tempo, la materia, l’energia erano gli ingredienti di base che insieme davano sapore e contenuto al mondo dei fenomeni oggettivi.
Dalla parte opposta, il soggetto che sperimenta era da questo del tutto indipendente.

La fisica dei Quanti e la Relatività di Einstein rivoluzionarono, agli inizi del ‘900, tale punto di vista, eliminando l’assolutezza e la separazione dei concetti succitati e conferendo alla speculazione occidentale un aspetto decisamente più unitario.
La materia divenne una forma di energia, lo spazio – in cui essa è contenuta – si legò con il tempo. In più l’osservatore, lo sperimentatore, andò in qualche modo a legarsi agli oggetti osservati.
Queste conclusioni, altamente lontane dal senso comune, andavano a collegare proprio quei concetti da sempre ritenuti divisi e indipendenti, avvicinando la Fisica moderna  alla filosofia e al misticismo orientali.
Si inizia ormai ad intravedere l’impossibilità di inquadrare in modo puramente logico il vasto e articolato fenomeno della Realtà, che trova espressione su piani più sottili rispetto a quelli del pensiero razionale.
Dopo millenni Yin e yang fanno capolino nei laboratori di ricerca e  nelle deduzioni teoriche dei massimi scienziati.

di Paolo Guido